La letteratura ha sempre avuto un rapporto complesso e profondo con la società in cui nasce. Se da un lato essa è espressione del proprio tempo, dall'altro ha spesso contribuito a plasmare la coscienza collettiva, denunciando ingiustizie, esplorando contraddizioni, immaginando alternative. Questo legame tra scrittura e impegno civile ha attraversato la storia letteraria italiana, assumendo forme diverse nelle varie epoche ma mantenendo inalterata la capacità di incidere sul dibattito pubblico.
Le radici storiche dell'impegno letterario
L'idea che la letteratura possa e debba svolgere una funzione civile ha radici profonde nella tradizione italiana. Già Dante, con la sua "Divina Commedia", non si limitava a creare un'opera d'arte ma proponeva una visione politica e morale della società del suo tempo, denunciando corruzione e malcostume. Secoli dopo, illuministi come Cesare Beccaria con "Dei delitti e delle pene" utilizzavano la scrittura come strumento di riforma sociale e politica.
La letteratura deve dare voce a chi non ha voce, raccontare ciò che la società preferisce dimenticare, e immaginare ciò che potrebbe essere ma ancora non è.
— Italo Calvino
Durante il Risorgimento, la letteratura divenne uno strumento fondamentale per la costruzione dell'identità nazionale. Opere come "Le mie prigioni" di Silvio Pellico o "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni, pur nella loro diversità, contribuirono a formare una coscienza civile collettiva in un paese ancora frammentato. Poeti come Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi, con il loro sguardo critico sulla società del tempo, posero le basi per una tradizione letteraria che non si limitava alla pura estetica ma aspirava a incidere sulla realtà.
Il Novecento: l'intellettuale tra impegno e disimpegno
È però nel Novecento che il rapporto tra letteratura e impegno civile diventa centrale nel dibattito culturale italiano. L'esperienza traumatica del fascismo e della guerra portò molti scrittori a interrogarsi sul proprio ruolo nella società. Nacque così la figura dell'intellettuale "organico", teorizzata da Antonio Gramsci, e quella dell'"intellettuale impegnato", che si diffuse soprattutto nel secondo dopoguerra.
Scrittori come Elio Vittorini, con la sua rivista "Il Politecnico", e Cesare Pavese, con la sua attività editoriale e letteraria, cercarono di definire un nuovo rapporto tra cultura e politica. Il Neorealismo, con autori come Italo Calvino, Beppe Fenoglio e Primo Levi, raccontò l'esperienza della Resistenza e dei campi di concentramento, convinto che la letteratura dovesse testimoniare la verità storica e contribuire alla rinascita morale del paese.
Ma l'impegno civile non si espresse solo attraverso la narrativa esplicitamente politica. La poesia di Eugenio Montale, con il suo rifiuto di ogni retorica, rappresentò una forma di resistenza culturale durante il ventennio fascista. Allo stesso modo, l'opera di Elsa Morante, in particolare "La Storia", pur non essendo dichiaratamente politica, offriva una potente riflessione sugli effetti della guerra sui più deboli.
Gli anni di piombo e la crisi dell'impegno
Gli anni Settanta e Ottanta videro una progressiva crisi dell'idea dell'intellettuale impegnato. La violenza politica degli anni di piombo, il fallimento delle utopie rivoluzionarie e l'emergere della società dei consumi portarono molti scrittori a ripensare il proprio ruolo. Il Gruppo 63 e la Neoavanguardia rifiutarono l'idea che la letteratura dovesse avere una funzione sociale diretta, preferendo concentrarsi sulla sperimentazione linguistica e formale.
Contemporaneamente, autori come Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia continuarono a svolgere un ruolo di coscienza critica della società italiana. Le loro opere e i loro interventi pubblici denunciavano le contraddizioni di un paese in rapida trasformazione, la corruzione della classe politica, l'influenza della criminalità organizzata. La loro forma di impegno, però, era spesso solitaria, lontana dalle appartenenze ideologiche tradizionali.
La letteratura civile nell'Italia contemporanea
Oggi, nell'Italia del XXI secolo, l'impegno civile nella letteratura assume forme nuove e diverse. Da un lato, assistiamo a un ritorno del reportage narrativo e del romanzo-inchiesta. Opere come "Gomorra" di Roberto Saviano, "Sette opere di misericordia" di Daniele Giglioli o "La frontiera" di Alessandro Leogrande fondono giornalismo e letteratura per raccontare realtà complesse come la criminalità organizzata, le migrazioni, le trasformazioni del mondo del lavoro.
Dall'altro, emerge una letteratura che, pur non essendo esplicitamente politica, affronta temi sociali rilevanti attraverso storie individuali. Romanzi come "Le otto montagne" di Paolo Cognetti, "L'Arminuta" di Donatella Di Pietrantonio o "La straniera" di Claudia Durastanti esplorano questioni come il rapporto con l'ambiente, le disuguaglianze sociali, l'identità culturale, senza rinunciare alla dimensione intima e personale della narrazione.
Particolarmente significativo è il contributo di autrici che, attraverso la loro scrittura, esplorano le questioni di genere e le dinamiche di potere nella società contemporanea. Da Michela Murgia a Chiara Valerio, da Viola Ardone a Nadia Terranova, queste voci propongono una letteratura che è anche uno strumento di riflessione critica sul presente.
Nuove forme, nuovi media, nuove sfide
L'impegno civile della letteratura contemporanea si esprime anche attraverso nuove forme e nuovi media. I social network, i blog, i podcast hanno creato spazi alternativi in cui la parola letteraria può circolare e incidere sul dibattito pubblico. Scrittori come Christian Raimo, Chiara Tagliaferri o Claudia Rankine utilizzano questi canali per proporre riflessioni che sfuggono alle logiche tradizionali del mercato editoriale.
Allo stesso tempo, iniziative come i festival letterari, i gruppi di lettura, i laboratori di scrittura creativa nelle carceri o nelle periferie dimostrano come la letteratura possa ancora essere uno strumento di inclusione sociale e di costruzione di comunità.
Le sfide che la letteratura civile si trova ad affrontare oggi sono molteplici: la frammentazione dell'attenzione nell'era digitale, la polarizzazione del dibattito pubblico, la crisi dell'editoria tradizionale. Ma proprio queste difficoltà rendono ancora più preziosa la capacità della letteratura di creare spazi di riflessione critica, di empatia, di immaginazione alternativa.
Conclusioni: una responsabilità condivisa
In conclusione, se la tradizione dell'impegno civile nella letteratura italiana è ricca e variegata, il suo futuro dipenderà dalla capacità degli scrittori di rinnovare le forme di questo impegno, adattandole alle sfide del presente. Ma dipenderà anche da noi lettori, dalla nostra volontà di cercare e sostenere una letteratura che non si limiti all'intrattenimento ma aspiri a essere strumento di riflessione e cambiamento.
Come scriveva Italo Calvino, "la letteratura è necessaria alla politica prima di tutto quando essa dà voce a ciò che è senza voce, quando dà un nome a ciò che non ha ancora un nome, e specialmente a ciò che il linguaggio politico esclude o cerca di escludere". In un'epoca in cui il linguaggio pubblico sembra sempre più impoverito e strumentalizzato, questa funzione della letteratura rimane più che mai attuale e necessaria.